martedì 26 maggio 2009

Imprevedibile/ Doida demais


Doida demais


Beijaria tua boca, só isso...Um beijo gostoso e sem pressa
Um beijo diz tudo, se vai ser bom ou nao ir adiante
sentiria o gosto da sua boca e se combinasse...

Beijaria muito mais que sua boca.
Beijaria seus sonhos, seus desejos e em cada beijo
um convite para que voce se perdesse dentro de mim...

Porque sou doida demais e não sei fingir,
nem tenho meias palavras
E minha liberdade se confunde com a entrega...
Tao ilimitada quanto o tempo e a vontade de viver
sem medo de ser feliz.

''E lá fora o mar, muito além dos sentidos...
Trouxe ...As trilhas da imensidão que percorro.''



Giselle Sato




Imprevedibile



Bacerei la tua bocca, soltanto….un bacio delizioso, senza fretta.
Un bacio dice tutto, se sarà bello o no proseguire
Sentirei il gusto della tua bocca e se combinasse…

Bacerei molto di più che la bocca.
Bacerei i tuoi sogni, i tuoi desideri e con ogni bacio
un’ invito a perderti dentro di me.

Perché io sono assai imprevedibile e non so mascherare,
non ho più parole
e la mia libertà si confonde con la mia consacrazione
talmente illimitata quanto il tempo e la volontà di vivere senza paure essendo felici.


E la fuori il mare, al di sopra di ogni sensazione
mi guida sulle rotte dell’ immensità che percorro.


Trad. Maurizio Gennari



www.trilhasdaimensidao.prosaeverso.net

martedì 5 maggio 2009

Isabella



Tutti i giorni si guardava nella specchiera platinata in oro vecchio. Ereditata dai bisnonni, portata dall’Europa e contesa con unghie e con denti. La spazzola scivolava accarezzando i riccioli immaginari, il rossetto metteva in risalto il contorno della bocca grinzosa. Migliaia di portaritratti sparsi, ricordavano quanto fosse stata bella. Tuttora si vantava del portamento e dei lineamenti.

Deteneva il sopranome di vedova nera. Una malignità dovuta ai quattro fidanzati morti nell’ imminenza dei matrimoni, una tragedia che causava panico ai futuri pretendenti. Incolpava il destino tutti i giorni per la solitudine e la tristezza. Ingannando il tempo con incalcolabili punti di ricamo. Le nipoti e le sorelle quando avevano bisogno di stracci da cucina, passavano a casa di Isa e sceglievano. Mai era stata invitata a feste o gite. Non aveva amici e il telefono non squillava mai.

La trattavano con circospezione quasi da strega. I bambini del vicinato fuggivano impauriti e aveva già visto un vicina fare il segno della croce al suo passaggio.
Quando perse l’ultimo futuro marito, decise di abitare nella casa dove avrebbe dovuto cominciare la vita da sposata. Fece costruire alti muri di recinzione per nascondersi da tutti, si ritrovò reclusa e dai pochi dimenticata. Isa cominciò a vestirsi di nero dalla testa ai piedi e mai usò altro colore. Fece cambiare le tendine e coprire divani e cuscini. Rivestimenti e pavimenti neri in tutta la casa atti a conferire un aria funebre di una tomba recentemente aperta. Isa aveva la mania di conservare piccoli altari negli angoli del salotto. Vasi con rose di colori differenti, uno per ogni defunto, un ricordo in rosso, bianco, rosa e giallo. A parte le candele, i fiori e il silenzio, niente in quella casa riecheggiava vita, la morte era venerata in una rifiutata esistenza.

Fu così che Alfredo incontrò la lugubre casa. Se non fosse stato un tremendo canaglia, sarebbe fuggito spaventato, ma pensò bene e intravide il lusso celato sotto i panni. Cominciò a scavare un lago, con sorgente ed illuminazione diffusa. La proprietaria aveva disegnato una strana nicchia in mezzo all’ acqua dove avrebbe custodito i resti mortali dei quasi mariti. Giorno dopo giorno, il furbo operaio azzardava un qualunque approccio, in cerca di un mezzo sorriso:

-Buon giorno signora, ha visto le pietre del fondo del lago? Ho cercato di sistemarle nel miglior modo possibile, quasi un mosaico, notò che ho cercato di abbinare i colori chiari e scuri?

-Si. Lei è molto creativo, con certezza decanterò il suo lavoro a mio cugino, che lo raccomandò.

- Ah! Si . Il capo sarà molto contento di sapere che restò soddisfatta. Ed io viziato con il suo delizioso caffè con i dolcetti fritti.

-Sono speciali come le ricette della mia bisnonna. Prelibatezze che portò con se dal Portogallo e che io quasi non faccio. Abituata a non aver compagnia, veda lei, prendo come scusa la sua presenza.

-Avrei immenso piacere di provare queste ghiottonerie. Non sono abituato a questi lussi.

-Oggi ho fatto un dolce di arancia, tortine di limone e pasticcio di “carambola”. Domani penserò a qualche cosa che da molto non faccio.

-Signora lei ha mani di fata. Mai ho mangiato così bene in tutta la mia vita.

- Signora? Se mi chiama così di nuovo, non faccio più niente…

-No! Isa…Isa non lo faccia, morirei di tristezza se non cucinasse mai per me.

- Bene, Alfredo… benissimo. Penso di essere ispirata, vado a fare qualche frittella per merenda.

Alfredo capì che il cammino era il mangiare e non perse tempo. Non c’ era giorno che non si saturasse con salatini e torte. E con la scusa, rimaneva per la cena, prendendo anche un caffè di più e quasi nell’ ora di dormire, usciva frettolosamente e triste.
Attraversava tutta la città per dormire in un letto piazzato in una caldissima stanza di una pensione che divideva con altre sei persone. Disteso sul letto a castello, sentendo l’aria pesante ed intrisa di acre odore di sudore. Alfredo sognava le buone maniere di Isa, come dividere la vita con una donna triste e carente.

L’ opera che doveva terminare in un mese già stava entrando nel terzo e il proprietario dell’ impresa non era per niente soddisfatto. Andò a dare una occhiata dalla cugina per il grande ritardo. Dal portone vide l’ operaio seduto su uno scalino, prendendo il caffè…… mentre la vecchia signora gli raccontava storie. Furioso, camminando con passo pesante, dando calci al pietrisco e ai gatti senza la minore preoccupazione:

-Ma che diavolo? Alfredo sta essendo pagato per costruire quel maledetto mausoleo acquatico non per fare chiacchiere.

-Calmati. In questa casa non abbiamo bisogno di galli che cantano. Come pensi che sia la vita Josuè? Entra con educazione e andiamo piano perché chi paga le ore sono io.

-Tu paghi le ore e lui fa altre cose. Siamo alla fine dell’ anno cugina Isa. Caspita! Dolcetti e fiori di zucca! Posso? Da quanti anni che non mangio queste prelibatezze

Isa osservò il cugino divorando tutta la merenda. Poi decisero che Alfredo sarebbe rimasto altri dieci giorni. Nel caso che non avesse terminato sarebbe stato licenziato. La donna contenne l’ odio che stava sentendo, facendo appello perché il maledetto parente si strozzasse e li lasciasse in pace. Niente di ciò successe quella notte, lavoratore e padrona, si salutarono frettolosamente senza chiacchiere o esperimenti culinari. Isa osservava la casseruola sulla tavola della cucina, pronta ad entrare nel forno, i dolcetti da avvolgere e il vuoto della vita. Per la prima volta, avvertì il peso dell’ età, la solitudine e la vergogna per i molti anni sprecati.

Raccolse il coraggio e cominciò a smontare gli altari, immersa il dolci ricordi, come alle leccornie che preparò con tanta cura per i fidanzati. Chiaro che ad ognuno fu servito un veleno differente, con dosaggi sempre più sicuri e precisi. Chi avrebbe mai pensato… in quell’ epoca era tanto naturale difendere la propria purezza. Mai avrebbe lasciato un uomo qualunque profanare il suo corpo. Ricordò quando la madre insisteva e le procurava pretendenti. Nessuno le aveva mai chiesto che cosa lei desiderasse. Mai!

A quest’ ora il cugino dovrebbe essere in qualche ospedale e Alfredo sentendo mancanza del mangiare. La medicina si era molto sviluppata e avrebbero constatato l’ avvelenamento. Le rimaneva poco tempo sino a che avessero riunito gli indizi e fossero arrivati all’ ovvio. Non sarebbe stata incarcerata con quasi settanta anni, tantomeno avrebbe potuto vivere in un altro luogo se non nella sua casa nera. Accarezzò i gatti e gli servi l’ ultima cena. Dopo qualche minuto tutti già si accartocciavano per la cucina… liberò gli uccellini e stappò il vino migliore.
Si sbalordì con il vestito da sposa, il bianco sempre era presente marcando l’ epoca. Dopo tanti anni sembrava essere ringiovanita: era la Isa a vent’ anni, invidiata durante la festa di fidanzamento, a quindici ballando il primo valzer, a dodici quando fu ricoverata in clinica di riposo, a otto quando il padre cominciò a farle visita in camera da letto tutte le notti.

Isa aprì il rubinetto del lago e terminò di fare le ultime cose. Pensò che fosse profondo abbastanza per i pesci che non ci sarebbero mai stati e sorrise. Sistemò le foto sul bordo assieme alle piccole candele accese, formando un sentiero illuminato… si spinse nell’ acqua gelata fino a che il veleno non facesse effetto. In fondo c’ era soltanto oscurità, anche così si sentì alleviata… quasi felice.


Giselle Sato (trad. Maurizio Gennari)

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